“L’integrazione è un’operazione che si fa in due. Non si integra da soli. Integrarsi non significa rinunciare alle componenti della propria identità di origine, ma adattarle a una nuova vita in cui si dà e si riceve.”
Tahar Ben Jelloun – Il razzismo spiegato a mia figlia
La seta è delicata, ma resiste al tempo e agli strappi. E non perde mai la sua bellezza.
Sono Giulia e oggi vi racconto di Teatri di Seta.
Come già detto nella puntata di mercoledì 29 gennaio (se non l’avete ascoltata, correte subito a recuperarla qui) Teatri di seta è un’associazione culturale di promozione e ricerca teatrale: un gruppo di donne che credono profondamente nel teatro come punto di incontro, di condivisione e di azione. Dal 2015 sono stanziate a Piazza Forcella, spazio comunale dedicato ad Annalisa Durante, giovanissima vittima innocente di camorra, uccisa proprio a Forcella il 27 marzo 2004, durante uno scontro armato tra esponenti di clan rivali. Anche questo legame con la legalità ci spinge a parlarvi del gruppo.
I laboratori condotti da Pina di Gennaro, Marina Cavaliere, Serena Lauro ed Elisabetta Bevilacqua sono caratterizzati da una particolare attenzione al tema dell’immigrazione e dell’interculturalità. Come le vie della seta, cercano – attraverso la pratica teatrale – di unire luoghi altrimenti sconosciuti, di far crollare le barriere e lasciare che gli esseri umani si conoscano e riconoscano senza i limiti della paura. Il teatro è il luogo più fertile per facilitare questo incontro. Essere altro e conoscere altro.
Dal 2015 il primo laboratorio Di.Verso Terra di Mezzo è diventato con gli anni un laboratorio permanente, a cui anche io ho partecipato. Alcuni dei miei anni hanno incrociato con gioia questo progetto essenziale per il quartiere e per i partecipanti.
Il primo spettacolo che facemmo insieme, con lo stesso titolo del laboratorio, aveva come tema principale l’emigrazione: un gruppo di donne che viaggiano verso l’America sono costrette dallo spazio ristretto della nave a convivere e a scambiarsi inevitabilmente storie e ninnenanne. Ogni lingua ne aveva una e, durante il lavoro, scoprimmo con sorpresa che le ninnenanne sono simili in tutto il mondo. Ognuna di noi – eravamo tutte donne, all’epoca – portava il suo vissuto, ma anche le storie, i romanzi e le poesie che hanno segnato il nostro immaginario. Così abbiamo lavorato, scambiandoci sogni, paure e parole in lingue ancora sconosciute.
Lo spettacolo successivo cercava di rispondere a una domanda: qual è una parola per identificare la felicità? Nonostante è quella che ci colpì di più, e ne diventò il titolo: Felicità nonostante. Ma ci può essere felicità durante la guerra? Questo filo conduceva i diversi monologhi e il nostro lavoro insieme. Il pubblico era bendato e noi dovevamo raccontare le storie solo con la voce e con la nostra presenza, con sussurri e carezze, ma riportando il dolore di una vita che sembra impossibile eppure in molti paesi è la quotidianità. Ognuna era pronta ad aiutare le compagne nel lavoro preparatorio, chiudere gli occhi e sentire sulla propria pelle quanto potevamo spingere la ricerca di suoni, rumori e tocchi. Chiedevamo molto ai nostri spettatori, privati di vista, anche perché non ci siamo risparmiate con lo “sfruculiamento”, ma, alle volte, il teatro è crudeltà!
In seguito, grazie al progetto Bateau personne, il gruppo si allargò, si inserirono nuove persone, nuove lingue e nuove storie. Il risultato fu Uccelli bianchi, uccelli neri, una rilettura dell’Odissea con il viaggio riletto nell’ottica del fenomeno dell’immigrazione.
Dopo quella emozionante esperienza, il nuovo gruppo lavorò di nuovo a Felicità nonostante e io mi trovai nella veste di spettatrice. Trovarmi dall’altra parte fu impietoso, ma necessario. C’erano storie che non conoscevo, oltre a quelle a me familiari, ed ero curiosa di scoprirle. Ascoltavo attentamente per non perdermi nemmeno una parola e, forse, riconoscere anche le voci dei miei compagni di viaggio. È stata davvero un’esperienza che ha messo a dura prova la propria resistenza e i propri limiti, ma creando un nuovo livello di comunicazione, oltre le apparenze.
Come le vie della seta, i Teatri di seta fanno proprio questo: occuparsi delle persone e creare comunità attraverso la conoscenza e la consapevolezza. Continuano il loro lavoro con il laboratorio permanente e con un nuovo progetto, Transit: una scuola di formazione attoriale con un’attenzione al tema dell’interculturalità.
La seta crea bellezza e la bellezza è nell’incontro tra esseri umani.
Per maggiori info: www.teatridiseta.it
Articolo a cura di

Giulia Menna
Speaker / Attrice
Curatrice delle rubriche inerenti l'arte, il cinema e lo spettacolo.
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